Sovraindebitamento: il giudice non può ridurre la quota minima di sostentamento prevista dalla legge

Una sentenza del tribunale di Milano chiarisce i limiti di impignorabilità nelle procedure di sovraindebitamento, stabilendo che il giudice designato può determinare quanto necessario al mantenimento del debitore, ma solo in aumento rispetto alla quota determinata prevista dalla legge (art. 545 cpc).

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Il caso approfondito è relativo ad una liquidazione del patrimonio, con solo reddito, aperta dal tribunale di Milano nei confronti di un soggetto sovraindebitato. 

Il giudice ha riconosciuto, tuttavia, una cifra inferiore per il sostentamento della famiglia, riducendo da 1200 euro a 700 euro la somma disponibile mensilmente al debitore. 

Con reclamo è stato impugnato il provvedimento di apertura alla luce della violazione delle prescrizioni di cui all’art. 545 cpc sui limiti di impignorabilità

Quali sono i limiti di impignorabilità nel sovraindebitamento

La sentenza esaminata offre non solo uno spunto di riflessione, ma conferma l’orientamento da sempre portato avanti da Ri.Analisi relativo alla non derogabilità, da parte del Tribunale, delle disposizioni sui limiti di impignorabilità richiamate dalla legge sul sovraindebitamento. 

In particolare la legge 3/2012 (l’art. 14 ter, comma 6) prevede che non siano compresi nella liquidazione:

  • i crediti impignorabili ai sensi dell’art 545 cpc;
  • i crediti aventi carattere alimentare e di mantenimento, nonché gli stipendi (salari e pensioni) e ciò che il debitore guadagna con la propria attività nei limiti di quanto occorra allo stesso per il mantenimento suo e della propria famiglia; i frutti derivanti dall'usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi, salvo quanto disposto dall'articolo 170 del codice civile; le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge.


In relazione ai “crediti”, si è discusso all’interno delle aule dei Tribunali sul concorso di tali due limiti sino a individuare due orientamenti:

  • primo orientamento. Il limite di cui all’art. 545 cpc (richiamato dalla legge 3/2012), non sarebbe un limite inderogabile, in quanto cederebbe il passo alla identificazione di quanto necessario al debitore per il sostentamento suo e della propria famiglia. In altre parole, alla procedura potrebbe essere assegnata una somma maggiore (oltre 1/5 o 1/2) di quella individuata dall’art. 545 cpc, se il debitore non dimostra di avere bisogno di un importo riservato più consistente.
  • secondo orientamento (che riteniamo più corretto). Il limite di impignorabilità previsto dal codice di procedura civile sarebbe invalicabile per il giudice, ed esso potrà solo aumentare tale riserva in favore del debitore, ove egli dimostri la necessità di maggiori importi, andando così a diminuire la quota in favore della procedura.


A supporto di tale ultimo orientamento si confronti anche la disciplina fallimentare la quale, all’interno dell’art. 46 L.F. non cita, tra i beni da escludersi nella liquidazione fallimentare, i crediti impignorabili di cui all’art. 545 cpc, permettendo al giudice quindi di determinare la misura del mantenimento del debitore anche in misura diversa e inferiore da quella indicata dal codice di procedura civile. 

Ciò non accade all’interno del sovraindebitamento, normativa in cui il legislatore ha espressamente richiamato i limiti di cui all’art 545 cpc, ritenendoli quindi operanti e vincolanti per il giudice incaricato della procedura.

Il tribunale di Milano, in composizione collegiale, con la sentenza in commento, conferma questa ultima interpretazione affermando che “nella procedura di liquidazione giudiziale del patrimonio del debitore (ndr di cui all’art. 14 ter l. 3/2012) i crediti impignorabili di cui all’art. 545 cpc non sono ricompresi nella liquidazione, sicché il giudice designato ha sì la facoltà di determinare quanto necessario al mantenimento del debitore ma solo in aumento, nell’ipotesi in cui cioè l’applicazione dell’art. 545 cpc per la modestia dello stipendio o della pensione percepiti dal debitore, non gli consentirebbe un adeguato mantenimento”

I Giudici del Collegio vanno oltre, sostenendo peraltro come, in tale ottica, ben potrebbero essere assunti, a riferimento e nell’esercizio dei poteri di determinazione del sostentamento, gli indici di povertà assoluta di cui alle tabelle ISTAT, ovvero gli importi mensili previsti dal c.d. reddito di cittadinanza, e ciò sempre nei limiti minimi di cui all’art. 545 cpc. 

Come calcolare la quota riservata al debitore e quella disponibile per i creditori

Nello stabilire la quota riservata al debitore si dovrà innanzitutto ricavare la quota disponibile per i creditori determinata ex lege ai sensi dell’art. 545 cpc, ovvero:

  • 1/5 dello stipendio salario o pensione (ivi incluso le somme a titolo di TFR e altri emolumenti) qualora i creditori abbiano la stessa natura;
  • fino ad 1/2 dello stipendio salario o pensione (ivi incluso le somme a titolo di TFR e altri emolumenti) qualora i crediti vantati abbiano diversa natura e concorrano quindi cause di alimenti, tributi e c.d. crediti privati o “comuni”.
    In quest’ultimo caso sarà il giudice a stabilire la quota assegnata, che potrà ad esempio anche essere stabilita nella quota di 2/5, fino al massimo di metà dello stipendio.


Una volta identificata tale somma, esclusa dalla liquidazione, il Giudice ben potrà aumentarla – ma non diminuirla – in virtù delle allegazioni e documenti presentati dal debitore che avrà dimostrato che per il sostentamento suo e della propria famiglia la somma così individuata non è sufficiente al mantenimento. 

Tale principio è da ritenersi vincolante per il giudice: ciò significa che resta sempre aperta la facoltà per il debitore, trattandosi di diritti disponibili, di versare alla procedura un importo maggiore di quello che invece risulta per legge; ad esempio nel caso in cui vi sia un soggetto che si impegni ad accollarsi le spese per il sostentamento della famiglia o che, per altre ragioni, non necessiti di tutta la cifra garantita per legge. 

Un esempio concreto

Un soggetto percepisce un reddito netto mensile di 1.500,00 euro.
La quota destinabile ai creditori dovrà essere identificata secondo le prescrizioni di cui all’art. 545 cpc e quindi:

  • sarà pari ad euro 300, con riserva a favore del debitore di euro 1.200, qualora si tratti di creditori aventi stessa “natura”;
  • potrà essere identificata nella forbice tra euro 300 e 750 in caso di creditori concorrenti e di diversa natura (crediti alimentari, statali o “comuni”).


Il giudice potrà:

  • aumentare l’importo a favore del ricorrente e quindi diminuire la quota in favore dei creditori, se il debitore dimostra di avere necessità di maggiori somme per il sostentamento;
  • diminuire l’importo a favore del ricorrente e quindi aumentare la quota in favore del ceto creditorio se il debitore dimostra di avere necessità di minori somme per il sostentamento e decida volontariamente di voler destinare somme maggiori ai creditori anche oltre i limiti di cui all’art. 545 cpc.


La pronuncia in oggetto risulta pertanto molto importante per l’interpretazione e la corretta applicazione della normativa e conferma la correttezza dell’operato di Ri.Analisi nell’interpretazione giuridica delle disposizioni di cui alla legge 3/2012. 

I professionisti Ri.Analisi sostengono e fanno valere la corretta interpretazione della legge all’interno delle aule di giustizia ogni giorno, per aiutare e sostenere i soggetti sovraindebitati a trovare la miglior soluzione al loro dissesto. Contattaci ora se anche tu hai bisogno della nostra assistenza.

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DATA PUBBLICAZIONE:
19 Luglio 2019